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Ma che mondo sarebbe senza sport?

Il 6 aprile si festeggia la Giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace

Pronunci la parola “sport” e subito i brividi attraversano tutto il mio corpo. Al semplice sentire questo termine il mio cuore e la mia mente tornano a casa, in un luogo sicuro e certo, in cui la pace ti inonda. Sono cresciuto con il pallone da calcio tra i piedi a quell’età in cui tutti, o quasi, almeno ad un anno di allenamenti non rinunciano. Così anch’io. E ho potuto, piccolissimo, subito capire che su quei campi di erba verde, oggi quasi tutti sintetici, succedeva qualcosa che non sempre accade, o meglio: non accade ovunque. Lì la vita sospende le sue leggi, i suoi ritmi e i suoi schemi.
Mentre giochi collezioni amicizie, che forse troppo tardi, ma non importa, scoprirai essere più importanti dei gol fatti o degli assist realizzati.
Mentre giochi fai fatica: impari una cosa che non sempre e dovunque si insegna, ovvero il fatto che nella vita non tutto è facile. E lo capisci in quelle partite in cui tutto, da un minuto all’altro, improvvisamente si complica. E bisogna ripartire, spesso da capo, delusi, frustrati, amareggiati. Il calcio è anche questo. Per fortuna.
Mentre giochi impari ad ascoltare: il calcio richiede grande attenzione ai dettagli. Ciò che fai singolarmente influenza sempre e comunque tutta la tua squadra, nel bene e nel male. Il rigore che realizzi, non lo realizzi tu: ha segnato tutta la squadra. Il cartellino rosso che prendi per frustrazione non lo prendi tu: anche i compagni sono parte delle azioni tue.
Così è la nostra esistenza: un vivere la PROPRIA vita INSIEME agli altri. Quando ho scoperto queste dinamiche interne al calcio, ho subito preso una decisione: da lì in poi non avrei più potuto rinunciare a questo mondo così bello, affascinante e meraviglioso. E dopo la breve esperienza di calcio giocato, ho ricevuto il dono di poter diventare un inviato sui campi di gioco come radiocronista prima e poi come giornalista pubblicista. E guardando da fuori, non più da dentro, ho scoperto quanto sia bello il tifo dalle tribune, l’incoraggiamento dei familiari di chi gioca, il semplice esserci per gli altri.

Il 6 aprile festeggiamo la Giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace, a distanza di 126 anni da quello storico 6 aprile 1896 quando si aprirono, ad Atene, i primi Giochi Olimpici dell’era moderna: è la nostra festa. È soprattutto, mi sento di dire, la festa dei tanti nostri ragazzi che durante la settimana scelgono di fare sport, facendo sacrifici enormi perché gli impegni, tra scuola, amicizie e famiglia non mancano.
Alcune settimane fa durante una passeggiata a San Marino mi sono imbattuto in un allenamento di calcio di alcuni ragazzi di 18 anni, guidati dal loro mister. Sono rimasto molto colpito. Innanzitutto per la loro concentrazione e attenzione nell’ascoltare le indicazioni dell’allenatore, poi per la grande forza di volontà nel cercare di migliorarsi e migliorare il gioco della squadra, infine nella capacità di dialogo gli uni con gli altri. Diceva il tecnico: “Se non dialogate, non giocherete mai da squadra”. Poi, poco più tardi, ho capito il motivo per cui ero rimasto così sorpreso e quasi incantato da questo momento: avevo intuito che i nostri ragazzi e i nostri giovani non sono solo quello che oggi, di negativo, viene raccontato di loro. Ma sono molto di più: hanno anche grande capacità di ascolto e di dedizione, di sacrificio e di amore per gli altri. Hanno dei sogni e dei progetti.
Lo sport, in questo, non mi ha mai deluso, anzi mi ha sempre rivelato una certezza: i nostri ragazzi sono ancora vivi. Finché c’è sport, c’è speranza.

Paolo Santi

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